“L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE QUANDO LA FANTASIA SUPERA LA RAGIONE”.
Irene Belloni
“L’IMPOSSIBILE DIVENTA POSSIBILE QUANDO LA FANTASIA SUPERA LA RAGIONE”.
Irene Belloni
Un racconto che trae origine dall’inconscio collettivo, dal concetto degli ADESSO sviluppato dal fisico teorico inglese Julian Barbour (vedi post 1 dicembre) e da un gioco combinatorio in cui l’Io dello scrittore svanisce dissolvendosi nel processo compositivo.
Enjoy….
L’incontro dell’Omega con l’Alfa.
È proprio quando arrivi alla fine di tutto, all’Omega, che comprendi con raziocinio chi sei, cosa sei stato e cosa sarai.
La signora Mali era appoggiata al cuscino del letto e fissava con insistenza il muro giallo ocra di fronte a sé. Il dolore, che fino a un momento prima le aveva provocato intensi spasmi, si era calmato. Con la coda dell’occhio percepiva il passaggio degli infermieri: saette fulminee imprigionate tra le pieghe del tempo.
« Il muro è giallo » – pensò.
« Finché sarò in grado di riconoscere che il muro è giallo, sarò viva ».
Le avevano dato un mese di vita.
Dal momento in cui aveva appreso la terribile notizia, ogni mattina la signora Mali poneva una piccola croce sul calendario appeso al di sopra del comodino e, se a causa della malattia non riusciva ad alzarsi dal letto, chiedeva all’infermiera di farlo per lei.
Erano passati trenta giorni. Le pareva che nell’ultimo mese il tempo si fosse dilatato. La sua coscienza aveva proiettato l’illusione di un tempo infinito. Il pensiero era passato attraverso ogni istante dell’esistenza e sentiva, di tanto in tanto, di possedere la felicità, benché fosse conscia del fatto che la felicità non la si possiede, semmai è il contrario, è lei a possedere noi.
« L’inizio e la fine, la vita e la morte, sono come l’alfa e l’omega, inscindibili » – rifletté.
Deviò lo sguardo dal muro e sbatté le palpebre. Le lacrime attraversarono la pelle raggrinzita, infrangendosi sulla camicia da notte. Chinò il capo e si soffermò ad osservare minuziosamente le rughe che ricoprivano le mani. Ogni ruga tratteneva un racconto o una storia breve. Le sue mani erano libri di fiabe che iniziavano con ‘C’era una volta’ e terminavano con ‘E vissero tutti, o quasi tutti, infelici e scontenti’.
La signora Mali andò a ritroso con il pensiero, cercando di ricomporre il libro della propria vita per entrare in contatto con la parte più profonda di sé. Cominciò così un lavoro di introspezione tramite la memoria: piccola fiammella rossa sul punto di estinguersi. I ricordi remoti si avvicendavano ai più recenti.
Ripensò all’infanzia trascorsa con la zia e al desiderio che aveva provato per tutta la vita di conoscere i genitori, morti a causa di un incendio che era divampato di notte quando lei aveva solo due anni, distruggendo l’intera proprietà, i campi e il bestiame. Quando da piccola gli altri bambini le chiedevano dov’erano i suoi genitori, puntava un dito verso il cielo e diceva:
– Lassù con Dio e gli angeli perché sono degli eroi.
A mani giunte recitò una preghiera. Le immagini del passato si susseguivano senza sosta. Rievocò il matrimonio del figlio e lo sguardo fiero rivoltole mentre era fermo all’altare in attesa della sposa. All’improvviso il pensiero della morte del marito, avvenuta tre anni prima, si insinuò nella coscienza. La signora Mali sentì un’intensa fitta al cuore. Chiuse gli occhi e continuò a pregare, cercando di scacciare il dolore inconsolabile causato dal grave lutto.
Dopo pochi minuti volse il pensiero alla recente discussione di laurea della nipote. Ricordava che aveva avuto luogo in una grande aula. Seduta tra gli altri parenti, con l’orecchio teso, aveva cercato di decifrare il significato per lei criptico delle parole della ragazza e dei professori. Sabrina le era di fronte girata di spalle, e parlando, gesticolava e muoveva la testa lentamente. Durante tutta la discussione era rimasta ipnotizzata dal movimento ondulatorio dei capelli della nipote. In uno stato di trance aveva percepito delle frasi e delle parole a proposito dell’alternanza di due personalità nell’essere umano. Il giorno successivo aveva telefonato alla nipote, chiedendole alcune spiegazioni esaustive in merito a ciò che aveva udito. Sabrina rispose che sarebbe andata a trovarla nel pomeriggio per parlargliene.
Queste furono le sue parole mentre teneva tra le mani una tazza bollente di tè:
– Vedi nonna, l’argomento della mia tesi riguarda Carl Gustav Jung, un noto psicologo e psichiatra svizzero che visse a cavallo tra Ottocento e Novecento. Egli sostiene nel Libro Rosso, o Liber Novus, che vi siano nell’uomo due differenti personalità. Una corrisponde a ciò che facciamo quotidianamente e dipende dal lavoro, dagli interessi, dagli incontri; mentre la seconda si trova in uno stato di comunione con il cosmo e la natura, ed è dedita a riflessioni solitarie di carattere religioso.
Al ricordo di quelle parole tutto le parve chiaro: negli ultimi trenta giorni aveva fatto capolino la seconda personalità. Mai come prima d’ora aveva compreso la sua equazione personale.
Tutt’a un tratto entrarono nella stanza una coppia di genitori con un bebè avvolto in una coperta, all’interno di una cesta. Indossavano degli abiti anni venti e la donna portava i capelli raccolti in una lunga treccia. Si avvicinarono al letto e le sorrisero. La signora Mali si strinse nelle spalle, rivolgendo un sorriso cordiale. La donna si sedette vicino a lei e le sfiorò i capelli con affetto. Le chiese delle sue condizioni di salute e poi la abbracciò forte. L’uomo la baciò sulla guancia, le versò dell’acqua nel bicchiere appoggiato sul comodino e glielo porse. In seguito si chinò sulla cesta, prese la piccola e gliela mise in braccio.
– Ecco il nostro piccolo diamante. Si chiama Ilde, – disse l’uomo con voce pacata.
– Ciao dolce Ilde, – disse la signora Mali, sorpresa dalla coincidenza.
Avevano lo stesso nome.
Ilde aveva gli occhi socchiusi e i capelli biondi chiari, giocherellava con le mani aprendole e chiudendole, pareva assorbire il mondo esterno attraverso i minuscoli palmi. Le mani esploravano la realtà. Erano i vettori della conoscenza.
Rimasero in quello stato di sospensione per alcuni minuti, infine l’uomo e la donna ripresero la bambina e la adagiarono nella cesta. Salutarono calorosamente la signora Mali e si diressero verso il corridoio.
Poco dopo entrò un’infermiera venuta per somministrare i medicinali alla donna.
– Ha visto quella coppia con la bambina? – chiese la signora Mali con voce roca.
– Quale coppia? – rispose l’infermiera, sgranando gli occhi.
– Poco prima che lei entrasse, una coppia di genitori con una bambina mi ha fatto visita. Non li ha visti nel corridoio?
– Signora, non c’era nessuno nel corridoio. L’orario delle visite inizia tra due ore e non è possibile entrare prima di allora. È sicura di sentirsi bene?
Non rispose. Inarcò le sopracciglia in segno di stupore e porse la penna all’infermiera. La mano tremava convulsamente.
– Può farlo lei oggi, per favore?
L’infermiera prese la penna e segnò una croce sul calendario: era il trentunesimo giorno. Quando la giovane donna se ne andò, la signora Mali ritornò con lo sguardo a fissare il muro giallo ocra, le orecchie tese ai rumori del mondo. Non riusciva a smettere di pensare a quello strano incontro. Percepiva in esso la familiarità che aveva sempre ricercato. Chi erano quelle persone? Perché la bambina aveva il suo stesso nome? Nella sua mente iniziò poco alla volta a germogliare un’idea. Un senso di piacere e di calore dilatò il cuore della donna. Di colpo le parole le uscirono di bocca, senza nemmeno rendersene conto.
– Mamma… Papà… – disse con voce sottile.
Due universi statici ma distinti, l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine, erano venuti a coincidere sullo stesso asse spazio-temporale ed erano divenuti Uno, raggiungendo l’eternità.
– Il muro è… – affermò fievolmente dopo aver emesso un lungo sospiro.
L’ombra di un sorriso passò sul suo viso. Chiuse gli occhi e si lasciò sprofondare nel letto.
Irene Belloni
In The Structure of Scientific Revolution Thomas S. Kuhn sostiene che gli scienziati tendono a operare all’interno di un consenso di ricerca, chiamato paradigma, ovvero una struttura possibilitante che organizza insieme sperimentazione e teoria fino al momento in cui un’anomalia mette in crisi il sistema. Se ipotizziamo che la critica umanistica, come la ricerca scientifica, dipenda da modelli epistemologici che definiscono il sapere, dovremmo essere in grado di rispondere alla seguente domanda: qual è stata l’anomalia che ha provocato verso la metà del secolo scorso il cambiamento di paradigma, inteso come uno spostamento archeologico nei presupposti del nostro modo di vedere e pensare?
Per rispondere a tale domanda è necessario stabilire innanzitutto qual è stato l’elemento che ha provocato la nascita della modernità. La genesi della modernità nella società occidentale, avvenuta nel Rinascimento, è dovuta a una scoperta che porta “a un nuovo senso dello spazio, della spazialità e dell’essere-nello-spazio: il sorgere della prospettiva nel disegno, nelle incisioni su legno e nella pittura”[1]. Si è assistito ad una trasformazione percettiva del mondo dovuto, da una parte, alla nuova concezione rinascimentale della vita come esistenza pienamente incentrata sull’individuo; dall’altra, all’orientamento innovativo del rapporto che sussiste tra l’occhio e il mondo, grazie al riconoscimento della prospettiva che spazializza il mondo.
L’uomo moderno inizia a concepire ogni cosa in termini di spazio, tendendo a dividere il mondo in soggetto osservante e oggetto materiale e alieno. Si nomina monarca assoluto del mondo, appropriandosi della superficie della terra in un modo completamente differente, reso possibile “dalla coscienza mensurabile-spaziale e dal senso di accentrato egoismo”[2]. L’importanza del sacro e l’atteggiamento mitico dell’uomo come parte del tutto lasciano il posto “al progetto dell’uomo secolare che controlla il mondo per via della ragione”[3].
Il primo filosofo a sviluppare un concetto chiaro del termine fu Hegel che incominciò nel 1800 ad utilizzare il termine modern age per indicare i tre secoli precedenti contrassegnati dalla scoperta del nuovo mondo, dalla Riforma protestante e dal Rinascimento, definiti come i “monumental events”[4] che costituirono “the epocal threshold between modern times and the middle ages”[5]. Il concetto cominciò poi a circolare in Europa soprattutto in ambito artistico. Per esempio, nel saggio Le peintre de la vie moderne Baudelaire adotta il termine modernitè per indicare la responsabilità dell’artista moderno di rappresentare l’esperienza della vita all’interno della metropoli attraverso forme originali e suggestive, e ne definisce alcuni dei suoi tratti caratteristici quali la transitorietà, la caducità e la contingenza.
Il pensiero modernista, iniziato nel Rinascimento, prosegue con l’Illuminismo e termina con l’inizio del XX secolo, riconoscendo notevole importanza a vari ideali: il progresso, l’obiettività e la razionalità. L’entusiasmo prodotto dalle continue scoperte, le rivoluzioni scientifiche e sociali e l’evoluzione metodologica conducono l’uomo a considerare in modo evidente le possibilità di miglioramento in ogni ambito della vita e del sapere. La fiducia estrema nella ragione forte e fondazionista e la tendenza a credere in legittimazioni assolute della conoscenza instillano nell’uomo la vocazione alla razionalità del dominio e del controllo, che hanno come conseguenze il colonialismo e l’alienazione.
L’anomalia che mette in crisi il sistema modernista non è causata da una scoperta, ma da una nuova consapevolezza che determina la condizione postmoderna dell’uomo. Come sostiene il filosofo francese Jean-François Lyotard, celebre nell’ambiente filosofico mondiale, la presa di coscienza nel postmoderno dell’impossibilità di dare un senso unico al mondo e alla realtà, partendo da principi metafisici, religiosi e ideologici, provoca il manifestarsi della diversità dei sensi. Ne deriva la consapevolezza dell’idea che nulla può poggiare stabilmente su un senso definitivo, comportando l’abbandono e la caduta delle visioni totalizzanti, delle metanarrazioni e delle legittimazioni forti e assolute. Questa “condizione del sapere nelle società più sviluppate”[6] provoca una sfiducia nei macrosaperi onnicomprensivi e legittimanti, quali la narrazione scientifica, l’illuminismo, l’idealismo, il capitalismo, il marxismo e il cristianesimo. La grande narrazione, come sostiene Lyotard, “perde credibilità, indipendentemente dalle modalità di unificazione che le vengono attribuite”[7]. Ne consegue un “declino della potenza unificatrice e legittimante delle grandi narrazioni speculative e emancipative”[8]. Un risveglio filosofico-esistenziale ha scosso così la società occidentale a partire dagli anni Sessanta, stravolgendo i valori portanti della modernità che, di colpo, sono stati decostruiti, frammentati e demistificati. Qual è la nostra posizione in un’era segnata inesorabilmente dal passaggio dal paradigma dell’unità al paradigma della molteplicità? Ne consegue forse una consapevolezza delle pluralità dei significati e delle verità?
“La verità è un fattore contingente, è individuale. Ognuno deve ricercare la Sua Verità nella molteplicità”
[1] Palmer E. Richard, “Verso un’ermeneutica postmoderna della performance”, in Carravetta Paolo e Spedicato Paolo, Postmoderno e Letteratura, Milano, Bompiani, 1984, p.262.
[2] Ivi, p.264.
[3] Ibidem.
[4] Habermas Jürgen, The Philosophical Discourse of Modernity, USA, The MIT Press, 1990, p.5 [“eventi monumentali”].
[5] Ibidem [“la soglia epocale tra il periodo moderno e il medioevo”].
[6] Lyotard Jean François, La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 5.
[7] Ivi, p.69.
[8] Ibidem.
L’essere umano riceve 400000 miliardi di informazioni al secondo ma ne registra solo 2000. Le informazioni che processiamo e assorbiamo dall’ambiente sono interpretate in base alle esperienze che abbiamo avuto nella nostra esistenza. Se pratichiamo ripetutamente lo stesso pensiero, le cellule nervose stabiliscono tra di loro delle solide relazioni a lungo termine. Per esempio, se ci lamentiamo quotidianamente, o soffriamo ogni giorno, diamo vita alla vittimizzazione nella nostra vita. Tutto ciò è dovuto al fatto che i pensieri fissi tendono a stabilire delle relazioni solide tra le cellule nervose, determinando l’identità della persona. Per eliminare la tristezza è perciò necessario interrompere questi pensieri e rompere le relazioni tra le cellule nervose che abbiamo precedentemente instaurato.
Le emozioni che sperimentiamo sono create da sostanze chimiche, definite peptidi, e sono assemblate in una zona del cervello: l’ipotalamo. Vi sono peptidi per il dispiacere, per la tristezza, per la vittimizzazione, e per la gioia. Se sperimentiamo uno stato emozionale è perché l’ipotalamo ha prodotto i corrispondenti peptidi e li ha liberati nel sangue. Una volta essere stati immessi nel sangue, essi raggiungono le cellule agganciandosi a un recettore. La cellula è la più piccola unità di coscienza del corpo. Se siamo spesso tristi, questo è dovuto al fatto che la tristezza è divenuta per noi una necessità chimica. Noi abbiamo bisogno di essere tristi per determinare un’euforia chimica, e così spesso provochiamo situazioni negative per soddisfare questa sensazione. Pensate alla tipica persona che soffre di vittimismo. Ogni volta che la incontrate vi parla di qualche sventura che gli è capitata da poco. Voi provate a darle dei consigli, le date il vostro punto di vista, ma niente… Quando la rincontrate a distanza di alcuni giorni, vi racconta di qualche altra terribile situazione nella quale si è trovata. Il motivo di questo atteggiamento? Ansia biochimica delle cellule che provoca il bisogno di “tristezza”.
Come far fronte all’euforia chimica? Come eliminare le solide relazioni tra cellule nervose che provocano emozioni negative? Interrompendo il pensiero. Già, proprio così. Smettete di pensare e tentate di costruire nuove esperienze. Cercate di far adeguare l’ambiente alla realtà che desiderate. Smettete di soddisfare un’euforia che vi danneggia a livello fisico e mentale.
Siamo macchine che producono la realtà.
Se siete interessati all’argomento, vi consiglio il documentario “What the Bleep Do We Know?”.
Lei era sempre stata lì, negli anfratti sinuosi del mondo, scostante e infedele. Era una forma indistinta di gemme preziose, soffici al tatto, leggere e cadenzate. Amava abitare nel Tutto, ricoprire la vita per brevi istanti, espandendo il suo silenzio oltre le apparenze. Odiata e temuta per la sua erranza, così potente, così fragile, un’inconsistente maschera degli inverni più arcigni. Non aveva motivo di fermarsi, poiché conosceva solo una destinazione, un porto sicuro in cui fermarsi, consapevole che quel luogo sarebbe stato l’ultimo. Ma lei sapeva che solo così poteva trovare coloro che attendeva di incontrare di anno in anno, li avrebbe riconosciuti dai loro sguardi alzati al cielo, persi ad osservarne il passaggio, abbagliati da un bianco luccicante. Non temeva una morte improvvisa, né un’assenza prolungata, poiché era conscia che ogni qual volta avesse voluto, avrebbe potuto rivivere nei ricordi di coloro che ogni anno ne attendevano il ritorno. E lei sarebbe tornata soltanto per loro, oceani sconfinati di pensieri transienti.
Irene Belloni
Il termine ‘cospirazione’ si utilizza quando si vuole indicare una cospirazione reale e provata, supportata da elementi che ne attestano la plausibilità mentre in ambito sociologico si preferisce il termine ‘teoria del complotto’ in quanto essendo una teoria, la cospirazione si rivela presunta e non vi sono prove attendibili per dimostrare che l’evento è ricollegabile ad una trama oscura. Il complotto determina la paura, la paranoia, e l’incapacità di spiegare un evento o un comportamento che può colpire l’immaginario collettivo e spingere le persone a vedere nell’alterità il nemico, come avvenne per esempio verso la fine del XVI secolo quando la società puritana degenerò attribuendo fenomeni di isteria all’influenza di streghe. L’incomprensione di fronte ad una serie di comportamenti, quali convulsioni, attacchi epilettici e trance portò all’uccisione di venti persone secondo la tesi che tutto ciò era provocato da Satana. Nel Maccartismo, il periodo che durò dalla fine degli anni Quaranta fino alla metà degli anni Cinquanta del XX secolo, vi fu un altro tipo di paura denominata Red Scare, la paura di influenze comuniste all’interno delle istituzioni statunitensi. Questo timore portò ad una forma di persecuzione contro coloro sospettati di essere comunisti attraverso controlli di sicurezza interni agli impiegati del governo federale, investigazioni nell’esercito statunitense, ad alcuni europei simpatizzanti per le sinistre ed ai liberal che lavoravano nell’ambiente di Hollywood. Infine la paura di una minaccia comunista determinò diversi processi e persino una condanna a morte verso coloro che venivano accusati di seguire questa ideologia.
A partire dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy il 22 novembre del 1963 a Dallas, in Texas e dell’omicidio di Lee Harvey Oswald, il presunto assassino, avvenuto due giorni dopo, si è sviluppata una sorta di conspiracy culture in cui non vi è più l’ossessione per un nemico fisso ma un sospetto generalizzato circa forze cospirative. Peter Knight in Conspiracy Culture: From Kennedy to the X-Files tratta di questo cambiamento e scrive “The style of conspiracy culture has accordingly changed from a rigid conviction about a particular demonized enemy, to a cynical and generalized sense of ubiquity – and even the necessity – of clandestine, conspiring forces in a world in which everything is connected.”[1] La logica della cospirazione è divenuta una risorsa dalla quale la letteratura ha attinto a partire dagli anni Sessanta e la sensazione di paranoia, il credere che vi sia un sistema ordinato dietro al caos del mondo è uno dei temi più ricorrenti della letteratura postmoderna che accomuna autori quali Don DeLillo e Thomas Pynchon. DeLillo tratta in molti dei suoi romanzi la cospirazione del dopoguerra, ovvero il momento in cui “paranoia replaced history in American life”[2], in Libra. Lee Oswald e il complotto per l’assassinio del presidente Kennedy inquadra il delitto in un torbido intreccio tra Cia, Fbi e malavita organizzata legata alla mafia. In Underworld affronta la storia segreta della conspiracy culture, dall’ossessione che vi era durante la Guerra Fredda e che rappresentava una risorsa di stabilità fino alle teorie cospirative create per spiegare ciò che appare incomprensibile.
[1] Knight Peter, Conspiracy Culture. From the Kennedy Assassination to The X-Files, London, Routledge, 2000, p.3. [“Lo stile della cultura della cospirazione è perciò variato da una convinzione inflessibile circa un particolare nemico reso simile ad un demonio, ad un senso generalizzato e cinico di onnipresenza – e anche di necessità – di forze cospirative e clandestine in un mondo in cui ogni cosa è collegata.”]
[2] Ivi, p.226. [“la paranoia sostituisce la storia nella vita americana.”]
Il futuro è il primo pensiero quando ti alzi e l’ultimo quando ti addormenti. Ti svegli e pensi, Cosa farò oggi? Ti distendi nel letto e, dopo aver riflettuto a lungo sulla giornata trascorsa, pensi, Cosa farò domani?
Passato e futuro. Ecco tutto ciò che riconosciamo come reale..
La sensazione del passare del tempo è soltanto un’illusione proiettata dalla nostra coscienza. Il passato non è quasi mai oggettivo poiché esiste solo nel presente. Tutto ciò che pensiamo di sapere e ricordare sul passato corrisponde ad una memoria che abbiamo qui ed ora. Nel sistema ipotizzato dal fisico teorico inglese Julian Barbour esistono infiniti universi statici, come se fossero foto istantanee, e vengono chiamati gli ADESSO. In ogni adesso esiste una versione differente di noi. Ciò significa che il bambino che nasce oggi non è lo stesso uomo che morirà tra 100 anni. Sono due entità molto differenti e abitano universi distinti.
Quante foto istantanee ruotano intorno al nostro Sé? Chi sono tutte quelle persone che appaiono sulle foto che ci gravitano attorno giorno dopo giorno? Noi?Versioni di Noi? Immagini speculari? Illusioni dell’Ego? I nostri stati interiori di coscienza si compenetrano in un’amalgama in costante evoluzione… Ridiamo e scherziamo.. Così siamo felici… Dopo poco sopraggiunge una preoccupazione… E allora la felicità viene scacciata dai problemi.. Ci arrovelliamo per trovare una soluzione… E la troviamo… Oppure no… Dopodichè succede qualcosa nell’ambiente circostante che attira la nostra attenzione e così l’umore migliora… O peggiora… E Ancora…
Questi siamo Noi: fugaci universi immersi nell’infinito delle possibilità del Sé.