Un uomo brusco e infedele le aveva da poco spezzato il cuore.
Modernità, seduta sulla panchina di un giardino nel bel mezzo di una Firenze rinascimentale, si guardò attorno rapidamente e balzò in piedi.
– Se solo avessi tra le mani quel gradasso di Medioevo, gli farei vedere io quello di cui sono capace, – disse incurvando le labbra.
– Mi sedusse con poesie e poemi, paragonandomi ad un essere sublime e irraggiungibile, ed io decisi di accettare il suo amore in cambio della protezione. Ci sposammo, ci amammo e … Mi lasciò dopo cinque anni. Già, proprio così, mi abbandonò per una giovane cortigiana… E lo chiamano Amor Cortese! – esclamò, in preda ad una rabbia violenta.
Modernità si sedette in silenzio, senza un movimento né un battito di ciglia. Si staccò da quei pensieri che le corrodevano l’animo e alzò davanti a sé uno sguardo altero.
Ad un tratto percepì nello spazio che la attorniava un’ inusuale materialità. Un senso prospettico della realtà aveva imprigionato il suo occhio. Gli alberi, il prato e il cielo erano nel suo campo visivo come prima, ma avevano una profondità e un rilievo maggiori. Le forme tridimensionali racchiuse nella visione le provocarono una lieve sensazione di svenimento.
– Se solo riuscissi a trovare un modo per smettere di pensare a lui, allontanandomi come se niente fosse accaduto, – sospirò.
– Se solo riuscissi a vedere il mondo con nuovi occhi, sotto una nuova prospettiva.
Le labbra della donna si stirarono in un sorriso incerto. Tornò con lo sguardo ad osservare il paesaggio. Nei suoi occhi c’era una luce particolare.
L’occhio della donna pareva essersi trasformato di colpo in uno specchio. Luccicava irradiando l’ambiente circostante. Nel riflesso vagavano frammenti di pensiero sconnessi. Una tormenta di idee rappresentò nello spazio linee orizzontali che convogliavano verso un punto focale.
Modernità si levò in piedi cercando di afferrare gli elementi che si erano materializzati nel suo campo visivo. Prese le linee che correvano parallele una ad una e le poggiò a terra. Non appena toccarono il suolo, si trasformarono in piccoli pennelli e matite.
All’improvviso vide che sopra ad ognuna compariva una scritta.
– Centralità umana dell’universo, – lesse sulla prima.
– Progresso, – lesse sulla seconda.
– Rivoluzioni scientifiche e sociali, – lesse sulla terza, agitata dall’emozione.
Restò per alcuni secondi a contemplare gli oggetti, cercando di trovare un senso a quello che stava avvenendo. Non conosceva il significato delle parole, eppure sentiva nel profondo del cuore che dal momento in cui aveva cominciato a pronunciarle qualcosa era cambiato. Quello che non sapeva era che sarebbero state loro a determinare la storia di lì a breve.
Modernità continuò a leggere ad alta voce le parole presenti sulle matite e i pennelli. La mano sceglieva ciò che il fato suggeriva, lasciandosi guidare dalla sottile aura che pareva illuminare l’oggetto non appena le dita vi si avvicinavano.
– Razionalizzazione della vista.
– Riforma protestante.
– Perdita di centralità della fede.
– Scoperta del Nuovo Mondo.
– Senso di accentrato egoismo.
– Colonizzazione.
– Guerre.
– Perdita del senso del sacro.
– Illuminismo.
– Capitalismo.
Di colpo Modernità appoggiò a terra uno dei pennelli, si levò in piedi e vide luccicare ad una certa distanza uno strano oggetto che sembrava sorvolare su uno degli alberi posti all’orizzonte.
– Ma certo, deve essere il punto verso il quale convogliavano le linee, – esclamò rischiarandosi in volto.
Estrasse dal suo baule da viaggio gli articoli da toeletta che portava sempre con sé e vi mise i pennelli e le matite. Lo nascose sotto l’erba accanto ad un albero d’acacia, simbolo del passaggio dall’ignoranza alla conoscenza nella cultura egizia, e si avviò verso la direzione del punto, canticchiando con voce sommessa.
Arrivata in prossimità, si avvicinò al punto nero e vide racchiuso un ritratto in cui vi erano rappresentati quattro uomini, tre dei quali di profilo, mentre il terzo, in abito arancione, volgeva lo sguardo verso sinistra. Afferrò il dipinto in miniatura e lo mise in tasca.
D’un tratto vide camminare nel giardino un uomo, vestito con una lunga casacca grigia e un copricapo nero, in vita aveva una fusciacca di seta rossa annodata su un lato. L’uomo si guardava in giro come in cerca di qualcosa. Non appena incontrò lo sguardo di Modernità, le andò appresso. Man mano che si avvicinava, notò una certa familiarità nei tratti del suo viso. Estrasse il dipinto dalla tasca. Guardò l’uomo e poi il ritratto. Gettò ancora uno sguardo all’uomo e tornò al ritratto. Alla destra del dipinto si trovava proprio lui.
Di colpo capì cosa doveva fare.
Fece segno all’uomo di fermarsi e di attenderla lì. Corse verso l’albero di acacia e prese con sé il piccolo baule. Si diresse ansante verso l’uomo e gli porse l’oggetto.
– Che cos’è? – chiese l’uomo sorpreso.
– Un dono, – rispose Modernità con uno scintillio dorato negli occhi.
– Un dono? Ma Lei chi è? – chiese l’uomo sgranando gli occhi.
– Il mio nome è Modernità.
– Lieto di conoscerla, – disse l’uomo facendo un inchino. – Filippo di ser Brunellesco Lapi, anche detto Brunelleschi.
Modernità si profuse in espressioni di letizia. Poi lo salutò e gli volse le spalle. L’uomo rimase a fissarla con in mano il baule, sorridendo amabilmente. Di colpo la donna smise di camminare e si girò verso di lui.
– Non abbia timore di osservare il mondo sotto una nuova prospettiva, – disse con voce pacata.
A poco a poco Modernità si dileguò nella realtà tridimensionale impressa dall’occhio dell’uomo.
Irene Belloni