“Vincenzo dice che niente accade per caso, quindi anche le forme delle nuvole hanno un significato. Le nuvole parlano, insomma, e ci mostrano segni che sono come parole. Cagliostro ha studiato tanto questo linguaggio, indagando testi segreti di popoli antichi; nelle sue carte cita scritti degli abitanti del Basso Egitto, dei nomadi Rgaybat della Mauritania (detti “figli delle nuvole”), dei Maori, degli Aztechi, dei cinesi delle dinastia Tang e del regno di Zhou, e di un principe persiano di nome Ruzbehan (scrisse un testo molto buffo, mi pare si chiamasse il Libro dell’annuvolamento). Ma le cose più importanti Cagliostro le ha imparate durante un viaggio in Russia, quando, ospite dell’imperatrice Caterina II, ha conosciuto il conte Potionkin, di cui è diventato amicissimo, che gli ha fatto conoscere una popolazione nomade che viveva tra Russia e Finlandia. Erano i massimi esperti del linguaggio delle nuvole. Vincenzo dice che le nuvole, essendo vagabonde, vanno molto d’accordo con i popoli nomadi e migratori. Cagliostro ha vissuto per un mese con loro e alla fine leggeva il cielo come fosse la pagina di un quaderno e dalle nuvole riusciva ad avere informazioni di ogni tipo, sul presente e sul futuro (sembra che anche Nostradamus si aiutasse con le nuvole nelle sue previsioni), ma anche su se stesso e su quello che c’era dentro di lui. In alcuni suoi appunti si paragonava perfino a una nuvola (“Senza tempo, senza spazio, come essenza gettata al vento Io sono. Senza inizio, senza fine, come nuvola di forma in forma Io vago”).
Salvatore Brizzi Il bambino e il mago