Oltre il palcoscenico, si staglia la visione del reale.

“Di tanto in tanto è divertente chiudere gli occhi e, al buio, dire a noi stessi: “Sono un mago e, quando riaprirò gli occhi, vedrò un mondo creato da me, del quale io solo sono completamente responsabile”. Lentamente, quindi, le palpebre si sollevano come un sipario che si alza sul palcoscenico. Ed ecco, là, il nostro mondo, tal e quale l’abbiamo immaginato”.

Richard Bach

Il dono della prospettiva

Un uomo brusco e infedele le aveva da poco spezzato il cuore.

     Modernità, seduta sulla panchina di un giardino nel bel mezzo di una Firenze rinascimentale, si guardò attorno rapidamente e balzò in piedi.

     – Se solo avessi tra le mani quel gradasso di Medioevo, gli farei vedere io quello di cui sono capace, – disse incurvando le labbra.

     – Mi sedusse con poesie e poemi, paragonandomi ad un essere sublime e irraggiungibile, ed io decisi di accettare il suo amore in cambio della protezione. Ci sposammo, ci amammo e … Mi lasciò dopo cinque anni. Già, proprio così, mi abbandonò per una giovane cortigiana… E lo chiamano Amor Cortese! – esclamò, in preda ad una rabbia violenta.

     Modernità si sedette in silenzio, senza un movimento né un battito di ciglia. Si staccò da quei pensieri che le corrodevano l’animo e alzò davanti a sé uno sguardo altero.

     Ad un tratto percepì nello spazio che la attorniava un’ inusuale materialità. Un senso prospettico della realtà aveva imprigionato il suo occhio. Gli alberi, il prato e il cielo erano nel suo campo visivo come prima, ma avevano una profondità e un rilievo maggiori. Le forme tridimensionali racchiuse nella visione le provocarono una lieve sensazione di svenimento.

     – Se solo riuscissi a trovare un modo per smettere di pensare a lui, allontanandomi come se niente fosse accaduto, – sospirò.

     – Se solo riuscissi a vedere il mondo con nuovi occhi, sotto una nuova prospettiva.

     Le labbra della donna si stirarono in un sorriso incerto. Tornò con lo sguardo ad osservare il paesaggio. Nei suoi occhi c’era una luce particolare.

     L’occhio della donna pareva essersi trasformato di colpo in uno specchio. Luccicava irradiando l’ambiente circostante. Nel riflesso vagavano frammenti di pensiero sconnessi. Una tormenta di idee rappresentò nello spazio linee orizzontali che convogliavano verso un punto focale.

     Modernità si levò in piedi cercando di afferrare gli elementi che si erano materializzati nel suo campo visivo. Prese le linee che correvano parallele una ad una e le poggiò a terra. Non appena toccarono il suolo, si trasformarono in piccoli pennelli e matite.

     All’improvviso vide che sopra ad ognuna compariva una scritta.

     – Centralità umana dell’universo, – lesse sulla prima.

     – Progresso, – lesse sulla seconda.

     – Rivoluzioni scientifiche e sociali, – lesse sulla terza, agitata dall’emozione.

     Restò per alcuni secondi a contemplare gli oggetti, cercando di trovare un senso a quello che stava avvenendo. Non conosceva il significato delle parole, eppure sentiva nel profondo del cuore che dal momento in cui aveva cominciato a pronunciarle qualcosa era cambiato. Quello che non sapeva era che sarebbero state loro a determinare la storia di lì a breve.

     Modernità continuò a leggere ad alta voce le parole presenti sulle matite e i pennelli. La mano sceglieva ciò che il fato suggeriva, lasciandosi guidare dalla sottile aura che pareva illuminare l’oggetto non appena le dita vi si avvicinavano.

     – Razionalizzazione della vista.

     – Riforma protestante.

     – Perdita di centralità della fede.

     – Scoperta del Nuovo Mondo.

     – Senso di accentrato egoismo.

     – Colonizzazione.

     – Guerre.

     – Perdita del senso del sacro.

     – Illuminismo.

     – Capitalismo.

     Di colpo Modernità appoggiò a terra uno dei pennelli, si levò in piedi e vide luccicare ad una certa distanza uno strano oggetto che sembrava sorvolare su uno degli alberi posti all’orizzonte.

     – Ma certo, deve essere il punto verso il quale convogliavano le linee, – esclamò rischiarandosi in volto.

      Estrasse dal suo baule da viaggio gli articoli da toeletta che portava sempre con sé e vi mise i pennelli e le matite. Lo nascose sotto l’erba accanto ad un albero d’acacia, simbolo del passaggio dall’ignoranza alla conoscenza nella cultura egizia, e si avviò verso la direzione del punto, canticchiando con voce sommessa.

     Arrivata in prossimità, si avvicinò al punto nero e vide racchiuso un ritratto in cui vi erano rappresentati quattro uomini, tre dei quali di profilo, mentre il terzo, in abito arancione, volgeva lo sguardo verso sinistra. Afferrò il dipinto in miniatura e lo mise in tasca.

     D’un tratto vide camminare nel giardino un uomo, vestito con una lunga casacca grigia e un copricapo nero, in vita aveva una fusciacca di seta rossa annodata su un lato. L’uomo si guardava in giro come in cerca di qualcosa. Non appena incontrò lo sguardo di Modernità, le andò appresso. Man mano che si avvicinava, notò una certa familiarità nei tratti del suo viso. Estrasse il dipinto dalla tasca. Guardò l’uomo e poi il ritratto. Gettò ancora uno sguardo all’uomo e tornò al ritratto. Alla destra del dipinto si trovava proprio lui.

     Di colpo capì cosa doveva fare.

     Fece segno all’uomo di fermarsi e di attenderla lì. Corse verso l’albero di acacia e prese con sé il piccolo baule. Si diresse ansante verso l’uomo e gli porse l’oggetto.

     – Che cos’è? – chiese l’uomo sorpreso.

     – Un dono, – rispose Modernità con uno scintillio dorato negli occhi.

     – Un dono? Ma Lei chi è? – chiese l’uomo sgranando gli occhi.

     – Il mio nome è Modernità.

     – Lieto di conoscerla, – disse l’uomo facendo un inchino. – Filippo di ser Brunellesco Lapi, anche detto Brunelleschi.

     Modernità si profuse in espressioni di letizia. Poi lo salutò e gli volse le spalle. L’uomo rimase a fissarla con in mano il baule, sorridendo amabilmente. Di colpo la donna smise di camminare e si girò verso di lui.

     – Non abbia timore di osservare il mondo sotto una nuova prospettiva, – disse con voce pacata.

     A poco a poco Modernità si dileguò nella realtà tridimensionale impressa dall’occhio dell’uomo.

Irene Belloni

L’eroe

“L’eroe è colui che non ha rimpianti e agisce in concomitanza con le sue parole.

L’eroe ricerca se stesso nell’Altro e una volta aver raggiunto la Verità, la condivide con il prossimo senza tentare di cambiarlo, ma rispettando le sue idee e stile di vita.

L’eroe è fermo nelle sue decisioni e non si lascia sopraffare da dubbi o paure che si annidano nella mente.

L’eroe ha sostituito la parola Morte, caricata da troppo tempo con vibrazioni ostili e fallaci, con la parola Passaggio.

L’eroe è un barlume di luce nell’oscurità.

L’eroe sei tu Lettore che ricrei di volta in volta un mondo quando ti accingi a leggere, proiettando il tuo Sé nelle parole, conscio che a breve troverai quel libro o quella frase che ti permetterà di vedere te stesso da un punto distante dell’universo”.

 

Irene Belloni

Il Pitro Lunare

Da lassù il mondo vibrava riflettendo la sua immensità nel cosmo e fiammelle di vita si innalzavano nell’atmosfera mentre rivolte al suo cospetto, formavano nell’universo un’autostrada lunare.

     Abitava nei pressi del Bacino Polo Sud-Aitken sulla faccia nascosta della Luna. Non ricordava da quanto tempo vivesse lì, né il motivo per cui un giorno si ritrovò seduto al centro di un enorme cratere meteoritico con un frammento di roccia lunare tra le mani. Lui non era nessuno, non possedeva un nome e non ricordava di averne mai avuto uno. Dopo aver osservato la crosta lunare che rifletteva la costellazione del Drago per ore e ore, d’un tratto fu come paralizzato dallo stupore. Di colpo capì quale era il suo ruolo nella vita. Come il Drago è posto a guardia del giardino delle Esperidi per proteggere l’albero dai preziosissimi pomi d’oro, il suo compito sarebbe stato quello di custodire i segreti racchiusi nella Luna.

      Si alzò in piedi repentinamente e, gettando con veemenza in aria il frammento di roccia lunare nella vastità del nulla, gridò a squarciagola:

      – Sono il Guardiano della Lunaaa…

      L’eco si propagò nell’universo.

      – Una… una… una…

      Il piccolo frammento lunare cadde a pochi metri da lui, rompendosi in mille pezzi. Si avvicinò curiosamente e prendendone una scheggia tra le mani, si rese conto che quell’oggetto era parte di sé. Lo avvicinò con occhi increduli al proprio corpo e notò che sia il colore sia la composizione erano le medesime. Frastornato dalla visione, scoppiò a ridere fragorosamente e si soffermò per alcuni minuti a contemplare la propria mano. Era di colore bianco e vi comparivano al suo interno dei cristalli quadrati allungati. Si mise a camminare a cerchi concentrici all’interno di un cratere ricoperto da una miniera di ghiaccio e nella sua mente cominciò poco alla volta a germogliare un pensiero.

      «Sono parte della Luna. Ecco perché non mi ricordo come sono arrivato qui. Lei mi ha generato. E lo ha fatto perché necessitava di un Pitro Lunare posto a guardia dei suoi segreti», pensò tra sé e sé, lasciandosi scivolare sul ghiaccio con estrema leggerezza.

      Di colpo urlò a squarciagola.

      – Sono un Pitro Lunareeee…

      Neanche il tempo di riprendere la voce che un terremoto fece oscillare improvvisamente la crosta lunare per alcuni minuti. Di colpo tutto incominciò a svanire sotto ai suoi piedi, la vista si annebbiò e cadde a terra svenuto. Quando si svegliò, scoprì di trovarsi nella parte visibile della Luna. Non si era mai reso conto che era sempre vissuto nel profondo buio. La luce era accecante e si coprì con le mani gli occhi. Si sedette ai piedi di un pendio lungo e diritto, tentando di abituarsi a poco a poco alla luce. Incominciò ad aprire prima un occhio e poi l’altro. La luce penetrò con delicatezza nell’iride grigio dell’occhio sinistro. D’un tratto un lampo di luce proveniente da uno dei crateri della Luna rifletté nella valle l’immensità dell’universo.

      Rimase fermo ad osservare sopra di sé tutte le costellazioni che gravitavano attorno alla Luna, poi abbassò gli occhi e il suo stupore passò ogni limite. D’un tratto vide una piccola sfera blu costellata da punti bianchi. Fece un sorriso radioso come quello di un bambino che riceve il dono tanto ambito il giorno di Natale. Trasse un profondo respiro e, rapito dalla soavità del colore bianco e azzurro che rifletteva la sfera, sentì una sensazione di pace e armonia inondargli l’animo. Rimase a fissare la Terra per alcune ore quando di colpo cadde addormentato ai piedi del pendio.

     Si risvegliò dopo alcune ore e la prima cosa che fece fu rivolgere lo sguardo alla Terra. Era notte. Da lassù il mondo appariva come una palla infuocata rossiccia. Piccole ed esili fiammelle vi danzavano al di sopra, e la punta di ognuna sembrava allungarsi, cercando di  raggiungere l’infinito del cosmo. I suoi occhi brillarono leggermente, trattenendo la visione che si profilava all’orizzonte della Luna. Di colpo una voce familiare mai udita prima lo sorprese. Dalla sua bocca uscì un sospiro stroncato.

     – Ciò che stai vedendo è chiamata “Alba dei sogni”, – disse una voce di donna calda e sensuale.

     – Alba dei sogni? Ehi, aspetta un attimo. Ma tu chi sei? – rispose il Pitro, asciugandosi il sudore sulla fronte di roccia lunare.

     – Sono tua madre, Luna, – disse la voce.

     Il Pitro Lunare fece un rumore a metà tra il gemito e il sussurro.

     – Ma…

     – Figliolo mio, tutte quelle fiammelle rappresentano delle persone.

     – Persone? – domandò il Pitro con faccia interrogativa.

     – Sono esseri umani che abitano la Terra.

     – E sono così pochi laggiù?

     – Quelle poche fiammelle rappresentano le persone che hanno ancora voglia e tempo per contemplarci. Sai figliolo, una volta il mondo era meno popolato, ma ogni essere umano di notte passava del tempo ad osservare il firmamento. Oggi la popolazione è aumentata a dismisura, ma, come vedi dal numero di fiammelle, in pochi credono ancora in noi. In pochi credono ancora al potere dei Sogni.

     – Il potere dei Sogni? – domandò il Pitro sgranando gli occhi.

     – Già, perché solo coloro che osservano la maestosità dell’universo dalla Terra, perdendosi con lo sguardo a mirare le stelle, la luna, i pianeti, credono ancora nei Sogni. I sogni della Luna.

     – I sogni della Luna?

     – Mio piccolo Pitro, tu custodisci i miei segreti. Questi segreti sono in realtà sogni. Sogni che tu devi donare alle piccole fiammelle che si innalzano verso di noi. Non appena una delle lingue delle fiammelle esce dall’atmosfera terrestre, il tuo compito è di prendere una manciata di frammenti lunari di cui sono cosparsa e lanciarli nella sua direzione.

       Mentre la Luna gli dava istruzioni su come comportarsi, l’attenzione del Pitro fu catturata improvvisamente da una fiammella che si innalzava dalla Terra con vigore e lucentezza. Di colpo si alzò, raccolse con le mani delle minuscole parti di crosta lunare e le lanciò con entusiasmo in direzione della fiamma.

     Nell’universo una polvere di frammenti lunari viaggiava alla velocità della luce. Trasportava con sé i sogni dell’umanità.

 

Irene Belloni

Il sussurro degli alberi

“Sapete che gli alberi parlano? Essi lo fanno! Parlano tra di loro e loro vi parleranno se solo li ascoltate. Il guaio dei bianchi è che loro non ascoltano! E così non hanno mai ascoltato gli indiani come non ascoltano le altre voci della natura. Ma vi assicuro, gli alberi mi hanno insegnato molto: sul tempo, sugli animali, sul Grande Spirito.”

Tatanga Mani Assiniboine