Sfreccerò oltre l’Aquila per essere libero…

“Mi sono già abbandonato al potere che governa il mio destino. E non mi aggrappo ad alcunchè, per non avere alcunchè da difendere. Poichè non ho pensieri, vedrò. Poichè non temo nulla, ricorderò me stesso. Distaccato e a mio agio, sfreccerò oltre l’Aquila per essere libero”.

Carlos Castaneda

Siamo vagabondi delle stelle

 

“Ho sempre avuto, nel corso della mia intera esistenza, la netta sensazione di aver vissuto in altri tempi e in altri luoghi, di avere addirittura ospitato in me altre persone. Ma, credimi, lo stesso vale anche per te che leggerai queste righe: torna con la mente alla tua fanciullezza, e rivivrai come tua l’esperienza di cui parlo. Eri, allora, qualcosa di instabile, di non ancora cristallizzato, di malleabile, eri un’anima in mutamento, una coscienza e un’identità che si andavano formando, proprio così, e che nel formarsi apprendevano anche a dimenticare.

Hai dimenticato molto, caro lettore, eppure, nel leggere queste pagine ti si pareranno davanti, confuse e indistinte, visioni di altri tempi, di altri luoghi su cui si soffermò il tuo sguardo di bambino e che oggi ti sembrano sogni. E tuttavia, ammesso che fossero sogni, da dove traevano la loro sostanza? I sogni sono un fantastico impasto di cose a noi note, è dalle nostre esperienze che traggono il loro contenuto. Quand’eri piccolo, hai sognato di cadere da grandi altezze, di volare come fanno le creature alate, di essere atterrito da ragni striscianti o da esseri viscidi, forniti di zampe innumerevoli. Nei tuoi incubi hai udito voci e scorto volti estranei e familiari al tempo stesso, hai sognato albe e tramonti che ora, se ci ripensi, ti appaiono ignoti.

Ebbene, queste visioni infantili erano segni di altri mondi, di altre vite, di cose che nella tua vita reale, in questo mondo reale, non avevi mai visto. Da dove venivano, allora? Da altre vite, da altri mondi? Forse, quando sarai giunto in fondo al mio racconto, troverai risposta a queste domande, che certamente ti sarai poste prima ancora di prendere in mano questo libro.”

 

Jack London  Il vagabondo delle stelle

Teddy e lo specchio magico

C’era sempre stato qualcosa in lui che lo faceva desistere dal desiderio di guardarsi allo specchio.

    Sin da quando era piccolo, ovunque andasse, controllava con debita cura la presenza dell’oggetto temuto. Se entrava in un negozio con i genitori, vi passava accanto cercando di osservare fisso di fronte a sé per non entrare in contatto con la realtà impressa. Aveva sempre pensato che il riflesso che vi veniva rappresentato fosse distante da ciò che era. Provava un certo imbarazzo ad osservare la sua immagine riflessa come se dall’altra parte ci fosse stato qualcuno a contemplarlo, in attesa di carpirne i segreti sottesi.

      Tutto era cominciato all’età di nove anni. Si trovava a casa da solo e, passando accanto al grande specchio ovale del salotto, aveva visto apparire di sfuggita un’ombra. Si era fermato di colpo e aveva rivolto lo sguardo all’alone che compariva sopra alla sua testa, impresso nella realtà dello specchio. Una proiezione di immagini si susseguiva senza sosta attorno a lui come un’aureola in movimento che vibrava in un caleidoscopio di rappresentazioni a lui estranee.

     In quel frangente di tempo la sua mente aveva smesso di pensare, rapita dall’insolita visione. Era rimasto immobile, in balia delle emozioni, con gli occhi fissi, rapiti dalla fugacità degli eventi che si susseguivano in uno spazio fluido e insondabile. Il suo respiro era divenuto di colpo irregolare e affannoso. Sul volto era apparsa un’espressione di stupore. La testa gli girava vorticosamente. Ricordava che mentre stava per avvicinare l’indice destro alle immagini, un timore reverenziale per una logica nascosta lo fece improvvisamente rabbrividire. Decise così di evitare di toccare lo specchio con qualsiasi parte del proprio corpo e di affidarsi all’orsacchiotto Teddy.

      «Teddy non ha paura di nulla. Lui mi protegge e lo farà anche ora. Se Teddy lo tocca, lo tocco anch’io. Però prima lui» – aveva pensato tra sé e sé.

     Si era accovacciato per raccogliere l’amico e lo aveva avvicinato con esitazione in direzione dell’immagine che raffigurava lo scontro di una bicicletta contro la portiera di un’auto. Non appena il peluche aveva toccato la superficie dai contorni sfumati, una forza magnetica lo aveva attirato verso di sé. D’un tratto un vortice si era impadronito dell’amico trasportandolo all’interno della realtà dello specchio. Le immagini erano così scomparse repentinamente da sopra la sua testa e si era ritrovato scaraventato a terra, con lo sguardo terrorizzato.

      Quella era stata l’ultima volta in cui si era guardato allo specchio. Non aveva mai fatto parola a nessuno di quello che era accaduto quel pomeriggio a lui e a Teddy. Ogni tanto ripensava all’amico, immaginandoselo vestito come il piccolo principe, in viaggio verso pianeti inesplorati, alle prese con vecchi re solitari assetati di potere, vanitosi dai cappelli bizzarri, ubriaconi attorniati da bottiglie vuote, uomini d’affari indaffarati a contare le stelle, lampionai intenti ad illuminare il mondo senza sosta e geografi seduti di fronte a scrivanie ricolme di fogli.

     Erano passati all’incirca vent’anni dall’incidente. La sua vita era andata avanti, anche senza Teddy, e aveva cercato di dimenticare l’esperienza, trasformandola in un’invenzione, un’illusione scaturita dalla mente di un bambino. Quando ripensava a quel pomeriggio, la ricostruzione operata dalla memoria lo portava a concludere che era stato tutto frutto di un sogno. Per quanto riguardava la perdita di Teddy, la ragione lo aveva condotto a credere di averlo smarrito per strada mentre viaggiava in bicicletta in direzione del campetto. Teddy era finito in strada ed era stato raccolto da un bambino che lo aveva portato a casa e accudito.

      Ciò nonostante ogni tanto si ripresentavano alla mente, sotto forma di ricordi, le immagini che erano comparse sopra alla sua testa. Esse sembravano contenere istantanea dopo istantanea tutta la sua esistenza. Sebbene pensasse di averle dimenticate, esse continuavano a vivere in lui. Talvolta alcuni eventi o persone che aveva intravisto in quel fatidico giorno allo specchio si ripresentavano nel suo reale come se fosse stato lui il personaggio principale della trama sottesa. Da alcuni mesi gli capitava sempre più spesso di provare delle sensazioni di dejà-vu. Si ritrovava in determinate situazioni, incontrava talune persone, visitava luoghi sconosciuti e un’intensa sensazione di già visto, di già vissuto, di già incontrato si impadroniva di lui.

     Quella mattina, uscendo di casa, si recò con un’insolita gioia a lavoro. Sapeva che qualcosa di determinante sarebbe successo. Sebbene fosse solito prendere l’auto per andare a lavoro, decise di recarsi in bicicletta e di passare per la via che era apparsa in una delle immagini che precedevano la scomparsa di Teddy attraverso lo specchio. Una volta svoltato l’angolo, uno scontro improvviso lo scaraventò a terra. Si alzò frastornato, con il ginocchio dolorante e una donna lo soccorse improvvisamente. Il viso preoccupato della donna metteva in risalto i lineamenti sottili e le guance arrossate, gli occhi sgranati lo fissavano intensamente. Di colpo cominciò a parlare animatamente.

     – Oddio! Non so come sia successo. Ho aperto la portiera e non c’era nessuno. Poi lei è sbucato da quel vicolo e… Non so come sia successo. Sta bene? Chiamo la Croce Rossa. Mi attenda qui. Prendo il cellulare e arrivo.

     – No. Sto bene. Non mi sono rotto niente. Non se ne vada, la prego, – disse l’uomo con un sorriso stampato in faccia.

     – Come dice? Ma Lei deve farsi vedere. Mi attenda qui e… – rispose la donna con aria preoccupata.

     – Stia qui con me, – disse l’uomo con voce dolce e pacata.

     La donna lo fissò imbarazzata, scossa da un tremito impercettibile. L’uomo si alzò e si sedette con la donna sul ciglio della strada. Uno scintillio dorato attraversava i loro occhi. Rimasero in silenzio ad osservare in una lunga cogitazione i fili invisibili ai quali erano stati intrecciati i loro destini. Di colpo, l’uomo si alzò e vide dall’altro lato della strada un orsacchiotto di pezza.

Ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione…

“La fede, come la paura o l’amore, è una forza che va compresa come noi comprendiamo la teoria della relatività, il principio di indeterminazione, fenomeni che stabiliscono il corso della nostra vita. Ieri la mia vita andava in una direzione, oggi va verso un’altra, ieri credevo che non avrei mai fatto quello che ho fatto oggi, queste forze che spesso ricreano tempo e spazio, che possono modellare e alterare chi immaginiamo di essere, cominciano molto prima che nasciamo e continuano dopo che spiriamo. Le nostre vite e le nostre scelte, come traiettorie dei quanti, sono comprese momento per momento, a ogni punto di intersezione, ogni incontro suggerisce una nuova potenziale direzione”.

Citazione tratta dal film Cloud Atlas